Ogni giorno, da un mese a questa parte, l’argomento è solo uno: l’emergenza covid19. In televisione e sui giornali non si parla d’altro ormai e tutti stiamo osservando un mondo che, anche se preso in contropiede dal virus, sta reagendo con tutte le sue forze per superare questo momento buio. Le problematiche sanitarie sono tante e le nuove esigenze anche, non solo riferite al comparto medico, ma anche a quello industriale e civile. Certamente saltano subito all’occhio le criticità contingenti, quei problemi che l’emergenza ci rovescia addosso in pochissimo tempo e che ci obbligano ad agire velocemente e con grande efficienza. Un esempio su tutti? Il problema della mancanza di maschere ospedaliere per la terapia intensiva o i sistemi di protezione base per i medici; nessuno si sarebbe aspettato una condizione così critica. Ma le criticità non sono solo in ospedale; l’obbligo di distanziamento e l’esigenza di riattivare le imprese sta costringendo aziende e privati a “inventarsi” nuovi modi per lavorare in sicurezza, potenziando lo smart working e i servizi digitali. Allo stesso modo le persone comuni hanno dovuto trovare escamotage per vivere il più serenamente possibile questa vita da quarantena, utilizzando servizi di consegne a domicilio e dispositivi di protezione talvolta improvvisati.

ReAzioni

Ma si sa, l’essere umano è un animale creativo, non si limita a improvvisare idee ma progetta e crea soluzioni intelligenti per migliorare la qualità della vita nella collettività. Un esempio sono le maschere da terapia intensiva di Isinnova, un perfetto esempio di design industriale per l’emergenza.

La ricetta? Una maschera da snorkeling esistente prodotta da Decathlon + una valvola adattabile al prodotto stampabile in 3D = dispositivo medico ready made che salva delle vite.

La notizia di questa idea geniale ha chiaramente fatto il giro d’Italia e forse del mondo, ma questa è solo una delle idee nate in “reazione” all’emergenza. Molte aziende automobilistiche, ad esempio, si sono convertite in produttori di mascherine, come Lamborghini e Ferrari ad esempio, per sopperire all’enorme richiesta di materiale di protezione. Altre hanno incentivato e reso pià efficiente il lavoro da remoto, attivando servizi per conference call. Non dimentichiamo che la reazione non è solo in risposta alle problematiche più contingenti anzi, è soprattutto voglia di progettare il futuro, di reinventarsi per essere pronti a ricominciare.

Qui entra in gioco il ruolo del design, dell’inventiva e di quella creatività tutta italiana che ci ha sempre reso noti in tutto il mondo. Il design non è solo forma, anzi, è soprattutto una profonda analisi delle esigenze dell’utente in relazione alle possibilità ambientali e sociali, talvolta anche politiche, se vogliamo considerare le leggi quanto mai variabili come in questo periodo.

È il processo che conta

Vorrei condividere con voi che state leggendo un esempio, un mio personale contributo. Ho progettato una maschera stampabile in 3D, riutilizzabile e facile da assemblare. Mi interessa far passare il messaggio che l’estetica è l’ultimo discorso da affrontare: ora è il processo che conta. Sto leggendo su tutti i giornali che sono in arrivo milioni di mascherine ad uso civile, fondamentali per la fase di contenimento del virus. Ma qualcuno si chiede come e se verranno riciclate? E soprattutto, tutto questo materiale “infetto” non rischia di diventare un’arma a doppio taglio?

Ritengo che uno Stato moderno debba ponderare in modo innovativo le scelte limitando scarti, rifiuti e possibilità di ulteriori infezioni. Si sta parlando di “brief di progetto”, se qualcuno di voi è un designer certamente sa a cosa mi riferisco; sto parlando dei requisiti fondamentali di un prodotto per penetrare il mercato. Nel 2020, con risorse tecnologiche quasi infinite, inseriti in un mercato globale mi risulta davvero strano proporre dei prodotti usa e getta così, lasciatemi passare il termine, “arretrati”.

Complicare è facile, semplificare è difficile

E’ importante pensare prima di agire, progettare immaginando le conseguenze. Per questo motivo condivido le regole che il “prodotto mascherina” dovrebbe avere secondo quello che si definisce buon design: il prodotto deve contenere le esalazioni (se il grado di protezione è basilare), contenere le inalazioni (in caso di protezione di grado superiore), essere riutilizzabile in tutte le sue parti, facilmente disinfettabile, semplice da assemblare, costruito con materiali biocompatibili ed ecosostenibili, dotato di una comunicazione efficace.

È fondamentale che il prodotto definitivo sia comunicato in modo semplice ed educativo, visto che stiamo per fronteggiare un cambiamento epocale in termini di comportamento nella collettività. Sembrano poche regole, facile no? No, non lo è perché come diceva Bruno Munari “complicare è facile, semplificare è difficile”. Qui si tratta di una semplificazione di processo e di prodotto tutt’altro che banale; le domande che sorgono per ogni punto del brief sono tante e le risposte spesso sono multiple.

Qualche esempio: il prodotto è autoproducibile? Deve essere dotato di un sistema di autodisinfezione? Il grado di protezione è solo uno?

Non esiste una risposta esatta, ma solo la razionalità del progettista che sta disegnando l’intero percorso.

Progettare un processo

La mia idea è creare una maschera ad uso civile stampata in 3D che chiunque può produrre per conto proprio o richiedendolo ai “fablab” (i laboratori dei maker), dotate di filtro costruibile con materiali di facile reperimento; una sorta di fai da te progettato. Inoltre il prodotto è disinfettabile tramite lampade UV, facilmente reperibili online oppure attraverso un ciclo di lavaggio ad alte temperature. Semplice? No, non lo è nemmeno questa volta perché il focus, come notate, non è il prodotto ma il processo di autocostruzione che deve garantire la protezione (per semplicità solo di primo grado). Io ho stampato la mia mascherina personale, ho creato un filtro in tessuto e il risultato è certamente più convincente delle soluzioni di fortuna viste in questi giorni.

Ed è qui che mi sorgono svariate domande: perché nessuno ha pensato di brevettare un processo? Perché ogni volta devono vincolare le persone a un prodotto solo? Perché si preferisce inondare un paese di materiali che inquineranno un pianeta già messo male? Sinceramente non ho una risposta, sono solo un designer, e l’unica cosa che posso fare è pormi domande e proporre soluzioni. Se siete degli “smanettoni” volenterosi di crearvi la vostra maschera personale, potete richiedere il file mandando una mail a carlo@thyperstudio.it, accetto consigli, proposte e nuove idee per migliorare il prodotto e percorrere insieme la via verso tempi più luminosi.